Memory

Memory requires a process, memory originates from the refined substance the human hand and the artist’s genius work on loyally and patiently; is like a shielding embrace that hides and especially preserves. When remembering we must carefully open to the value of memories what must not be exposed to the risk of dispersion. Remembering comes with a sort of jealousy, not a simple clumsy supremacy but the intent to preserve and cultivate, to create a valuable bridge that crosses generational boundaries and settles in the collective memory and the cultural history. 
Preserving the memory doesn’t mean to bury it under ashes neither dominate it with bulky cumbersome grabbing. The wooden box symbolically represents a human environment dense of significance made for a memory that is and must stay alive.
 When opening the box we challenge its sill, we direct our glace over matters willing to mediate the knowledge and cause a meeting: with stories and names, pieces of denied life and unanswered desires of freedom.
This time the hand is invited to Touch!
 Get in touch, touch the patina around the face, be brave and touch the image of what and who existed before you. The magical move of keeping in touch is represented in this sequel of invitations. Oblivion is self isolation. Memory is consigned to the desire of connecting, the attempt to approach; in other words a need for a bravery shudder, skilfully placing the hand on what we want to recall on the horizon of the memory. It happens while we scratch the sheet and remove the aura above: an apparent defiling violent act. But it’s not exactly that!
 The move feels like an unveiling caress, like when someone touches a leaf and gives the flower the chance to open.
There is a tenderness in the memory, a tactile sensuality that promotes creativity. The miracle of someone appearing to someone staring his face doesn’t happen because of the separation, the distance, the lack of contact between the one remembering and the one remebered. What seems like respect ends up being indifference, with the fatal result of leaving in the dark those who are once again dislocated from the community. Touching and preserving don’t rule each other out, provided that the tactile attitude can find its own soft measure by avoiding the insult of a heavy hand, of a scathing tear.
This is why the art of memory is difficult and intricate; it is accomplished through the weave of daily choices, it lasts a lifetime and requires a training filled with ethical wisdom.

La memoria richiede elaborazione, procede da materiale, via via sgrezzato, su cui la mano dell’uomo e l’ingegno dell’artista si pongono con fedele e paziente lavorio. E si arriva così a costruire qualcosa che avvolge e racchiude, nasconde, ma soprattutto custodisce. Chi affronta il ricordare non lo può fare senza la prudenza della cura, per aprire alla ricchezza del ricordo quanto non deve essere esposto al rischio della dispersione. C’è una gelosia nel ricordare che non è atto di goffa onnipotenza, ma servizio della custodia e della coltivazione, affinché si possa creare quella salutare cinghia di trasmissione che valica i confini delle generazioni e si sedimenta come memoria collettiva e storia culturale. Custodire la memoria non è metterla sotto cenere e neppure dominarla con l’attitudine dell’accaparramento ingombrante ed escludente. La scatola di legno rappresenta simbolicamente l’ambiente umanamente denso di senso, per una memoria che si sa e si vuole viva. E aprendo la scatola, cioè sfidandone la soglia, lo sguardo si ferma sui materiali che vogliono mediare conoscenza e provocare incontro: con storie e nomi, con pezzi di vita negata e desideri non ascoltati di libertà.  Questa volta la mano viene invitata a sfiorarle. Touch! Mettiti in contatto, sfiora la patina che avvolge il volto, abbi l’ardire di toccare le sembianze di quanto e di chi è stato prima di te. Sembra questa la litania dell’invito nella magica azione del keep in touch. L’oblio è autoisolamento. La memoria è affidata alla volontà di fare ponte, di osare l’accostamento; in altre parole c’è bisogno di un sussulto di audacia, mettendo sapientemente la mano su quanto si vuole richiamare all’orizzonte della memoria. Ora questo avviene mediante l’azione dello scalfire il foglio, togliendone l’alone di copertura: un atto violento, dissacrante, a prima vista. Ma non è esattamente così! Il gesto ha il sapore della carezza che disvela, come quello di chi toccando le foglie dà al fiore l’opportunità di aprirsi. C’è una tenerezza della memoria, una sua sensualità tattile, che la rende creativa. Il distacco, la lontananza, l’intangibilità tra chi ricorda e chi viene ricordato non produce questo miracolo del dispiegamento di un volto allo sguardo di chi è proteso a incontrarlo. Quello che potrebbe sembrare rispetto, finisce per essere indifferenza, con l’esito fatale di lasciare al buio chi viene ancora una volta smembrato dalla comunità. Toccare e custodire non si escludono a vicenda, a condizione, ovviamente. che il piglio tattile sappia trovare una sua misura soave e non degradi nell’oltraggio della mano pesante, dello strappo graffiante. Per questo l’arte della memoria è difficile e complessa; e dura una vita, si compie nella trama delle scelte quotidiane e domanda un apprendistato carico di sapienza._Antonio Autiero. A cura di Piero Cavagna, Giulio Malfer

Cofanetto legno ‘Cirmolo’ n.150 | 17,5×23 cm | n.11 fotografie | n.11 schede inchiostro termicocromico